Il fabbisogno di gas dell’Italia, secondo gli ultimi rilevamenti, si attesta a 71 miliardi Smc di cui 66 miliardi circa importati dall’estero. Ciò implica che il 95% del nostro fabbisogno energetico proviene da oltre confine.
Nel dettaglio il 2,9% dall’Olanda, 4,2% dalla Libia, Azerbaijan 9,5%, Algeria 27,8%, Russia 38,2% (dati Mise). Il restante 13,1% proviene dal mare, GNL (gas naturale liquefatto) di cui l’America è uno dei principali esportatori.
I venti di guerra, che spirano ormai da più di una settimana, preoccupano fortemente l’opinione pubblica e la popolazione europea è stretta nella morsa di una guerra anacronistica e da un feroce aumento dei prezzi.
Questa situazione di forte instabilità fa crescere il timore di una possibile chiusura dei gasdotti verso l’Italia, il che porterebbe ad una crisi ben peggiore dell’attuale.

Cosa comporterebbe una chiusura dei rubinetti del gas russo?

Questa eventualità è stata presa più che in considerazione dal governo italiano che sta cercando molteplici soluzioni.
La quantità del gas russo è talmente ampia che per sopperire ad un’eventuale carenza si dovrà pensare ad un ventaglio di piani B.
Soprattutto, piani a stretto giro temporale con una resa energetica immediata.
Sfortunatamente, in questo preciso momento storico il rinnovabile non è preso in grande considerazione poiché non sufficiente a poter soddisfare chissà che bisogni. Potrebbe coprire il fabbisogno energetico domestico e della piccola industria, ma non dell’industria e del trasporto pesante.
Inoltre, la creazione di nuovi impianti richiederebbe tempi assai lunghi.
Questa delicata situazione sottolinea come sarebbe meglio avere rifornimenti diversificati dell’energia e trovare un modo per aumentare l’indipendenza energetica.

Cosa può fare nell’immediato l’Italia per rispondere a questa situazione?

Come prima ipotesi usare il gas dello stoccaggio. L’Italia possiede nove giacimenti di stoccaggio che ammontano, compresa la riserva strategica, a 17 miliardi Smc.
Considerando il fabbisogno annuo della nazione ne rappresenterebbe una minima parte ma in una situazione complessa come quella attuale, anche se poco, è molto importante.
Diversificare i fornitori di gas, acquistare più da Olanda, Azerbaijan ed Algeria.
Valutare maggiormente il GNL sia dagli Usa che dal Quatar, secondo esportatore globale al mondo.
Ed infine, valutare un utilizzo temporaneo delle centrali a carbone. Questa è un’ipotesi da vagliare con estrema attenzione.
In Italia ci sono sette centrali a carbone, due delle quali riattivate a fine 2021 per le sempre crescenti tensioni tra Russia e Ucraina. A lungo termine sicuramente si dovrà pensare a rinforzare le rinnovabili, incrementare la produzione interna di gas ed infine vagliare il nucleare, decisione particolarmente complessa. 

Effetti della guerra sul caro luce e gas

L’invasione russa ai danni dell’Ucraina ha sconvolto le quotazioni energetiche scatenando una forte volatilità nei prezzi. Il fiato è sospeso poiché non si conoscono gli effetti che le nuove sanzioni potranno avere sull’andamento del mercato energetico.

Il conflitto ha fatto sentire i suoi effetti anche sulle quotazioni del carbone europeo, che ha guadagnato fino al 16%, mentre il petrolio è arrivato a superare i 105 dollari al barile per la prima volta dal 2014.

Quotazione del Calendar 2023 che dopo lo spyke di giovedì quando è arrivata a sfiorare i 200 €/MWh è rimbalzata mantenendosi ben sopra i 160 €/MWh. A trascinare il rialzo è stato principalmente l’aumento del prezzo del gas. Aumento che si riflette anche nella crescita del costo dei certificati di emissione, che potrebbero salire ulteriormente se i paesi europei (ed in particolare l’Italia) consentiranno una maggiore flessibilità nell’uso delle diverse sorgenti di energia elettrica del Paese.

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