La digital life degli italiani non riguarda più solo le aziende e l’alta produzione degli e-waste ne è la triste testimonianza. La transizione digitale ha raggiunto milioni di cittadini, siamo abituati quotidianamente a fare i conti con riunioni online, appuntamenti virtuali e documenti condivisi sul cloud.
Oggigiorno veniamo a contatto con prodotti elettronici che in tempi sempre più rapidi sono destinati a trasformarsi in una notevole mole di rifiuti, gli e-waste.
Gli apparecchi elettronici siano essi tv, cellulari o elettrodomestici contengono composti chimici nocivi per la nostra salute: PVC, piombo, berillio, cadmio e mercurio, nessuno escluso.

La direttiva europea 2002/95/CE sui rifiuti elettronici ed elettrici (RAEE)

La direttiva europea 2002/95/CE sui rifiuti elettronici ed elettrici (RAEE) impone la raccolta differenziata introducendo il principio di ritiro dei vecchi apparecchi al momento dell’acquisto di nuovi.

In Italia la direttiva è recepita con il decreto-legge 151 del 2005. Essa presenta la possibilità per i produttori di applicare un sovrapprezzo definito (detto visible fee) sui prodotti per ammortizzare i costi sostenuti per il recupero e il riciclo dei RAEE.

La Convenzione di Basilea sancì il divieto di esportare gli e-waste non destinati al riciclo o al recupero verso i Paesi in via di sviluppo. Sfortunatamente a questo divieto molte realtà sono rimaste sorde. I ¾ dei RAEE prodotti principalmente negli U.S.A ed Europa raggiungono illegalmente la Cina, l’India e l’Africa.

Dallo studio del programma Onu Where are WEee in Africa nel solo 2009 sono state scaricate nel continente africano circa 220.000 tonnellate di RAEE.

Sfortunatamente solo un terzo del materiale nocivo è destinato al recupero e al riciclo. La gran parte sfugge ai controlli andando ad “ingozzare” discariche abusive e gonfiare le tasche di chi gestisce illegalmente questi traffici.

Greenpeace ha misurato concentrazioni cento volte superiori a quelle normali di cadmio, piombo e antimonio nei suoli dove i RAEE vengono bruciati a cielo aperto (discarica di Agboglobshie, nella capitale Accra), rilevando presenze allarmanti anche di veleni quali cloro, bromo e diossine.

Dall’Africa all’Asia la situazione non cambia: gli “addetti” al recupero di rame ed alluminio sono principalmente bambini costretti a lavorare in condizioni di forte sfruttamento senza il rispetto delle misure di sicurezza. I piccoli smontano e fondono i rifiuti, i fumi nocivi sprigionati da queste combustioni sono fortemente dannosi per l’aria, l’acqua e gli abitanti del territorio.

Questa situazione è l’istantanea della società consumistica di oggi, basata sul culto dei beni e sulla soddisfazione di bisogni effimeri. L’obiettivo di massimo profitto, secondo queste logiche, stride con la necessità di tutela ambientale trasformando i Paesi in via di sviluppo in discariche a cielo aperto.

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